Innanzitutto vogliamo ringraziare i 5.066 colleghi che hanno collaborato rispondendo al questionario online che pubblicammo nella scorsa primaveraed al tempo stesso, rincuorare ed incoraggiare i 3.049 che tra loro sono stati aggrediti durante lo svolgimento del loro servizio.
Si trattava di una comparazione del fenomeno già studiato nel 2013 a distanza di 4 anni per verificarne l’andamento. Andamento che fa registrare un forte incremento che passa dal precedente 12% in vertiginoso aumento del 31,9% del 2015 rispetto al 2014 e del 32,5% tra il 2015 e il 2016. Ma il dato impressionante è quello registrato nel primo quadrimestre 2017 che produrrebbe a fine anno una crescita esponenziale del 96% delle aggressioni rispetto al 2016.
L’alto numero di adesioni registrate insieme alla reale rappresentatività del territorio nazionale ne fanno sicuramente un imprescindibile studio di riferimento per gli esperti del settore (RSPP, RLS, Medici del lavoro, Responsabili di Risk Management), per gli stessi professionisti sanitari ma, soprattutto per i diretti responsabili della sicurezza, i Direttori Generali e a loro volta, gli assessorati alla salute, fino al Ministro della Salute e tutte le forze politiche che sono chiamate a dare delle risposte concrete al fine di tutelare la sicurezza e la salute di chi si occupa di assicurare la salute.
Adesso non possono più sottovalutare il fenomeno, tanto più che la stessa politica ne è in buona parte responsabile a causa degli inesauribili tagli sul personale e sulle risorse del sistema salute che, alla fine, si traducono in questa odiosa ed irrazionale reazione dei cittadini verso chi gli si trova di fronte al momento del bisogno.
5 volte su 10 l’aggressione non si limita alle parole ma passa ai fatti, provocando nel 14% dei casi, gravi lesioni al personale con prognosi che arrivano anche a superare i 3 mesi. Un danno all’operatore ma indirettamente anche a tutti gli assistiti in quanto, in conseguenza all’infortunio, di fatto riduce la già scarsa presenza di personale in servizio, aggravando quindi le condizioni che generano questo fenomeno. Solo per il 2016 sono state dichiarate 4.240 giornate di infortunio che, riproporzionate sul totale del personale sanitario, propenderebbero per 222.589 giornate di assenza dal lavoro a livello nazionale a causa di infortuni da aggressioni. Un rilevante danno anche in termini economici stimabile intorno ai 24 milioni di euro nel solo 2016.
I motivi dell’aggressione sono direttamente collegati a problematiche riscontrate dagli utenti del servizio per il 73,7% dei casi. Le “ragioni” sono le più disparate, ma prima tra tutte, l’attesa snervante nel 21,7% dei casi. Non mancano ragioni riconducibili alla scarsa od inesistente educazione civica dell’utenza ed alla pretesa di essere “serviti per primi”, ma si tratta solo del 4,3% dei casi denunciati.
I motivi dell’aggressione sono stati ben differenziati nei vari servizi indagati, tra cui: 118, ambulatori, degenze, ADI, penitenziari, pronto soccorso, SPDC e terapie intensive.
E’ stato possibile anche stabilire un indice di rischio nei rispettivi servizi che vede senza dubbio prevalere il PS con il 36,4%, contro l’ultimo posto delle T.I. al 4,9%.
Ad aggredire, su 10 casi, 4 volte è lo stesso paziente, 3 volte un parente, 2 volte entrambi ed una volta un utente casuale.
Le aziende si stanno lentamente muovendo per fronteggiare il fenomeno, anche se solo il 55% si è dotato di un modulo specifico di segnalazione. Solo nel 21% dei casi a seguito di aggressioni le aziende prendono provvedimenti che per il 49,1% non sono stati sufficienti ad evitare il ripetersi di altri episodi. Tra i provvedimenti presi, quello risultante più efficace è senza alcun dubbio l’aumento del numero di personale per il 72,1%.
Le forze dell’ordine intervengono solo nel 31,9% dei casi e, tra questi, per il 53% riescono ad evitare il peggio. Solo un caso su 10 l’episodio finisce davanti al giudice.
Di buono c’è che la tenacia e la deontologia professionale degli infermieri non cedono di fronte alle aggressioni nel 62,8% dei casi.
Un consiglio che ci sembra opportuno suggerire è l’esperienza di alcune colleghe che hanno dichiarato: “L’azienda non ci ha tutelate. Ci disse di andare dai carabinieri, ma dopo il turno. Alle 22.20 andammo in caserma. Ci dissero i carabinieri che avevamo fatto male, che avremmo dovuto chiamare durante il servizio, a quel punto avrebbero fatto il sopralluogo e verbale dopodiché l’azienda ci avrebbe dovuto tutelare. Invece, andando dopo l’orario di servizio,non ci rimaneva che sporgere denuncia privatamen-te e poi dimostrare l’accaduto. Lasciammo perdere.“
Ancora più del 2013 ribadiamo che “l’aggressione agli infermieri non è la soluzione” dei problemi sanitari dei cittadini ma, se si vuole andare alla radice del problema, è necessario prendere coscienza del peggior stato di salute in cui versa l’intero sistema sanitario nazionale così come l’abbiamo sempre conosciuto dalla sua nascita. Il SSN sta morendo sotto i colpi di scelte economiche che portano i servizi sanitari dalla gestione pubblica alla gestione privata.
La responsabilità quindi del fenomeno va condivisa tra aziende datrici di lavoro e politiche governative di finanziamento al sistema pubblico a garanzia delle risorse umane e materiali necessarie a garantire la qualità e quantità di assistenza necessaria a ciascuno. Per diminuire le aggressioni occorre quindi agire su entrambe le leve e, compito di tutti, è diventare consapevoli della radice del disagio popolare che sempre di più tende a manifestarsi con forme di violenza verso gli operatori.
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