Il fenomeno delle aggressioni al personale sanitario torna all’attenzione dell’Esecutivo regionale del Friuli Venezia Giulia grazie a un’interrogazione del Consigliere di opposizione Roberto Novelli (FI).
A qualche mese di distanza da una prima interrogazione al riguardo (datata settembre 2016 e ad oggi inevasa) a sua stessa firma, Novelli torna a chiedere alla Giunta regionale quali siano le misure che si sono adottate o che si intendano adottare per fronteggiare il problema delle aggressioni ai danni del personale sanitario e quali (e se esistano) gli strumenti di monitoraggio e segnalazione del fenomeno attivi in Regione.
L’interrogazione di Novelli si fonda sulle evidenze dell’analisi, ancora parziale ma già alquanto significativa nei suoi contenuti, dei dati raccolti dal NurSind attraverso un questionario a partecipazione volontaria sottoposto online a tutti gli operatori sanitari, che costituisce un aggiornamento di un’analoga iniziativa già svolta nel 2013 e che già a quel tempo aveva evidenziato l’esistenza di forti criticità su questo fronte.
Fra i 216 operatori friulani che hanno risposto finora al questionario (in larghissima maggioranza infermieri) serpeggia evidente il disagio e la percezione di imminente pericolo derivante dall’intensificarsi degli episodi di violenza perpetrati ai danni degli operatori e, in parallelo, dell’inefficacia delle misure, laddove se ne è avuta traccia, di prevenzione e contenimento del fenomeno.
La parola ora passa, sperabilmente, alla Giunta regionale, che dovrà indicare quali siano le linee di indirizzo del governo regionale su questo fronte.
Ma quali sono le evidenze emerse dall’analisi dei primi dati raccolti in Friuli Venezia Giulia?
Di seguito riportiamo in maniera sintetica, ma sufficientemente esaustiva, gli indicatori che allarmano gli infermieri e che dovrebbero parimenti allarmare chi ha la responsabilità di gestire le strutture sanitarie e garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro per gli operatori nonché la sicurezza delle strutture sanitarie per gli utenti.
Le notizie che la cronaca riporta purtroppo quasi quotidianamente fanno percepire come il fenomeno non sia affatto in recessione ma che, al contrario, si stia estendendo assumendo qualora già non lo avesse fatto la connotazione di un vero e proprio allarme.
Anche per questa ragione il NurSind ha deciso di dedicare la Giornata Internazionale dell’Infermiere 2017 al tema delle violenze contro il personale sanitario (Clicca).
L’indagine 2017 non è ancora conclusa, ma i primi dati che raccolti descrivono questo andamento in maniera netta.
Ad aprile 2017 in FVG hanno risposto al questionario 216 operatori sanitari in larghissima maggioranza (203) infermieri, ciò nonostante l’indagine fosse aperta al contributo di tutte le professioni sanitarie.
Dal punto di vista demografico il gruppo degli operatori che ha partecipato all’indagine vede una netta prevalenza delle fasce d’età tra i 40 e i 55 anni (140), ma con significativa rappresentanza anche delle fasce comprese tra 25 e 35 anni.
Se l’andamento della curva dell’età anagrafica non è nettamente lineare, molto più livellata è invece la curva di rappresentazione dell’anzianità di servizio, che presenta valori, per fascia, abbastanza simili.
Questo potrebbe significare che il fenomeno delle aggressioni non ha una dimensione collegabile all’anzianità di servizio (e quindi a possibili varianze derivanti da diversi stili operativi e relazionali del personale), mentre la dimensione legata all’età anagrafica ben si concilia con il dato dell’età media del personale sanitario, in costante aumento negli ultimi anni a causa di fenomeni già ben noti (blocco delle assunzioni e del turn over, aumento dell’età pensionabile, ecc.).
Dal punto di vista del “genere”, emerge come ad essere interessata maggiormente dal fenomeno delle aggressioni è la componente femminile del personale sanitario (70%), dato che comunque deve essere ponderato anche in considerazione della composizione di genere del personale infermieristico nel suo complesso, che permane ancora di segnatura nettamente femminile.
Entrando nel merito delle aggressioni, oggetto di indagine, il primo dato che si evince in maniera netta è come nel personale sanitario il fenomeno sia percepito come in aumento o in forte aumento nell’80% dei casi. Solo il 2% dei questionari riferisce una percezione di diminuzione, mentre per meno di un intervistato su 5 il fenomeno è quantomeno stabile.
Gli operatori che nella loro carriera professionale hanno vissuto in prima persona o hanno assistito a fenomeni di aggressione sono il 65%, cui si aggiunge un ulteriore 34% di operatori che hanno avuto notizia indiretta del verificarsi di questi episodi nella propria struttura di appartenenza.
Le aggressioni hanno registrato un aumento costante negli ultimi 4 anni, e il dato 2017 non deve trarre in inganno poiché si riferisce soltanto al primo quarto dell’anno.
Preoccupante anche la tipologia di aggressione, che nel 52% dei casi ha avuto una componente fisica, mentre solo poco meno della metà delle aggressioni è stata soltanto verbale.
Ad essere coinvolto negli episodi di violenza è quasi sempre il singolo operatore o piccoli gruppi di operatori (fino a 3) e nella maggior parte dei casi l’aggressione scaturisce da motivi collegati al servizio (68%): tipicamente per i tempi di attesa al Pronto Soccorso, i tempi di attesa/disguidi/ritardi nelle prestazioni ambulatoriali e, in maniera non trascurabile, a causa di condizioni alterate dei pazienti (dipendenze, disturbi psichiatrici).
Infatti il dato relativo al tipo di struttura/reparto in cui si sono verificati gli episodi evidenza una netta prevalenza (72%) dei PS (19,6%), dei reparti di degenza (35,3%) e degli ambulatori (17,1%) rispetto ad altri tipi di struttura.
Le aggressioni fisiche nei confronti dei sanitari avvengono con ogni tipo di mezzo, segnatamente con atti di violenza fisica vera e propria (calci, pugni, spintoni, schiaffi, ecc.) ma anche con l’utilizzo di oggetti contundenti e armi, seppur in misura molto più contenuta.
Nella stragrande maggioranza dei casi (69%) non sono intervenute le forze dell’ordine e anche laddove siano intervenute, il loro arrivo non è stato sufficientemente tempestivo per evitare l’esplosione di violenza (65% dei casi).
Sul fronte aziendale si registra come il 90% delle aggressioni avvenga nelle strutture pubbliche e come all’interno delle aziende, comunque, perlomeno della metà dei casi esistano dei sistemi interni di segnalazione degli eventi, nonostante un pesante 39% di casi in cui tali sistemi non ci siano.
A fronte del verificarsi degli episodi di violenza, però, desta preoccupazione il risultato dell’indagine laddove evidenzia che nel 60% dei casi (cui si aggiunge un 19% di “non so”) non sia stato preso alcun ulteriore provvedimento per la sicurezza degli operatori e, anche nel 21% dei casi in cui qualcosa si è cercato di fare, questi accorgimenti sono ritenuti insufficienti nel 45% dei casi e adeguati solo nel 17% delle risposte, mentre una consistente parte egli intervistati non è in grado di definire il grado di efficacia degli stessi (38%).
A sostegno di questa percezione è il dato relativo al reiterarsi di episodi di violenza anche dopo che tali provvedimenti siano stati presi: per oltre un terzo degli intervistati (37%), anche dopo gli interventi per aumentare la sicurezza, si sono comunque verificati ulteriori episodi di violenza.
A seguito delle violenze, nella maggior parte dei casi (85%), non si è ricorsi alle vie legali e nella minoritaria percentuale dei casi in cui alla violenza è seguita un’azione legale, i dati del questionario evidenziano come questa sia quasi sempre promossa e sostenuta in via esclusiva dalla vittima, con scarsissima partecipazione da parte dell’azienda.
Dalle domande a campo libero, emerge una sensazione di impotenza degli operatori che, da un lato, cercano di tutelarsi dalle possibili violenze modificando in molti casi il proprio atteggiamento e vocandolo maggiormente alla prudenza e al controllo dei rapporti comunicativi con l’utenza (che si riducono allo stretto necessario) e, dall’altro, alla richiesta di maggiore presenza delle forze di Polizia nelle strutture sanitarie e di installazione di dispositivi e strumenti di protezione e segnalazione, mentre a fare da contorno molti concordano sul fatto che è quantomai necessaria una campagna di informazione e progresso culturale nel campo dell’educazione civica di cittadini.
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