Lo studio: serviranno più di mille euro a testa per pagare gli esami, le medicine e le terapie
Roma – Gli italiani (oltre alle tasse), pagano sempre di più di tasca propria per la salute.
Cresce la spesa privata mentre quella pubblica frena drasticamente per ovvie ragioni di finanza pubblica. Il problema è che tra chi non può spendere, cresce in modo preoccupante la quota chi non è coperto dal sistema pubblico e quindi non si cura, rinunciando a diagnostica, medicinali e terapie. Il quadro è stato illustrato ieri alla settima edizione del Welfare Day 2017, al quale sono intervenuti, tra gli altri, Roberto Favaretto e Marco Vecchietti, rispettivamente Presidente e Consigliere Delegato di Rbm Assicurazione Salute, Giuseppe De Rita e Francesco Maietta, rispettivamente Presidente e Responsabile dell’Area Politiche sociali del Censis.
Nel rapporto Censis-Rbm Assicurazione salute si stima che 12,2 milioni di italiani nell’ultimo anno abbiano rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie, 1,2 milioni in più rispetto al 2015. Non sorprende che si tratti nella gran parte dei casi, il 74,5%, di persone a basso reddito, contro un 15,6% dei benestanti. Un’area di «sanità negata» in continua espansione.
Quando gli italiani in difficoltà non rinunciano alle cure, devono ricorrere sempre più a spese sanitarie di tasca propria. La spesa sanitaria privata è di 35,2 miliardi di euro, in crescita del 4,2% nel periodo 2013-2016. Ci sono 7,8 milioni di italiani che hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o con le banche, 1,8 milioni sono entrati nell’area della povertà per affrontare i costi delle cure o della diagnostica.
La spesa sanitaria privata, ha spiegato Vecchietti, oggi pesa per 580 euro pro capite. «Da qui a dieci anni per evitare il crack finanziario del Servizio sanitario nazionale o ulteriori tagli alle prestazioni, finirà per superare i 1.000 euro a testa».
Dal Welfare day di ieri arrivano anche proposte per una soluzione, e un appello al governo. Recuperare gli esclusi nel solo modo possibile: facendo leva sulla collaborazione tra pubblico e privato. Un «robusto tagliando» al Servizio sanitario nazionale che Rbm assicurazione salute ha sintetizzato in due proposte che ricalcano i sistemi già in vigore in Germania e in Francia.
Il modello francese consiste in un secondo pilastro complementare per tutti i cittadini, che eviti di fare pagare di tasca propria le cure a 36 milioni di italiani. In sostanza un’assicurazione che rende obbligatoria la sanità integrativa. Sistema, spiega Vecchietti, che Parigi ha attuato partendo dai lavoratori dipendenti e poi ha esteso a tutti. Compresi i lavoratori autonomi. Categoria che dovrebbe essere coinvolta anche in Italia in piani di sanità integrativa.
Il sistema tedesco consiste nell’esternalizzare alcune fasce di popolazione. Un opting out, per alcune categorie che ricorrono volontariamente ad assicurazioni private. La non scelta per chi rientra in fasce di reddito alte comporta una penalizzazione fiscale. «Invece di accettare la rinuncia alle cure da parte di 13,5 milioni di italiani, promuovere un’assunzione di responsabilità per i cittadini con redditi più alti» (sopra 56 mila euro all’anno) mediante un’assicurazione privata.
Applicando questi modelli, ha spiegato Vecchietti, si può garantire un risparmio per le casse dello Stato di circa 10 miliardi di euro all’anno. Una rivoluzione, in attesa della quale già qualcosa si potrebbe fare. Ad esempio informare i cittadini che si recano nelle Asl che c’è la possibilità di ricorrere all’assicurazione sanitaria.
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