Il rapporto Oasi evidenzia il gap nel finanziamento sulla sanità rispetto ai maggiori Paesi Ue. Ma mette anche il dito nella piaga delle scelte gestionali in merito a liste d’attesa, priorità e target delle prestazioni
Altro che 1,3 miliardi di euro nel 2025 e qualche cosa in più negli anni successivi. Servono almeno 40 miliardi per portare il finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale a livello degli altri grandi Paesi Ue. Oggi la spesa italiana per il comparto in rapporto al Pil galleggia poco sopra il 6%, mentre Francia, Germania e Regno Unito foraggiano i rispettivi apparati nazionali per la salute intorno al 9-11% della ricchezza lorda. L’edizione 2024 dell’Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario Italiano (Oasi), pubblicato oggi dal Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) di Sda Bocconi School of Management, racconta con dovizia di riflessioni quello che gli addetti ai lavori conoscono molto bene. Peraltro, la carenza di risorse è ancora più grave alla luce delle tendenze demografiche del Bel Paese, che è il più vecchio del mondo dopo il Giappone.
“Rendere sostenibile l’universalismo è la vera sfida che la sanità pubblica italiana ha davanti a sé – spiega il Cergas nel rapporto – è necessario prendere atto di questo vincolo e ragionare soprattutto su come mettere ordine al sistema, dove attualmente le priorità di accesso ai servizi sono spesso casuali, dunque poco efficaci e poco eque – basti pensare che gli anziani cronici in buona salute si dimezzano se si passa da chi è laureato a chi ha licenza elementare”. E aggiunge: “I consumi delle stesse prestazioni sanitarie variano anche del 100% tra territori simili di una stessa Regione e c’è un forte divario tra quanto prescritto e quanto erogabile – e ciò danneggia inevitabilmente la reputazione del Ssn”.
Il documento, giunto alla 25esima edizione, offre una fotografia alquanto spietata circa le condizioni del nostro sistema sanitario. Uno dei nodi cruciali rimane quello delle liste d’attesa, malgrado i ripetuti interventi del governo. Il Cergas evidenzia: “Attualmente, la mancanza di criteri di priorità di accesso ai differenti servizi e le logiche prescrittive spesso lontane dalle linee guida cliniche aggravano il problema della scarsità di risorse. Per l’accesso ai servizi non si tiene conto di criteri di prioritizzazione quali, ad esempio, aree di patologia, cluster di popolazione per reddito o livello di istruzione, portafogli di tecnologie da includere nel contenuto dei servizi garantiti dal Ssn”. Il rapporto aggiunge che “questo è un meccanismo molto importante, ma quasi mai esplicitato, che ha portato il Ssn a prescrivere molte più prestazioni rispetto alla sua effettiva capacità erogativa. Nei territori dove sono maggiori le prescrizioni, spesso sono elevati anche i consumi per abitante, ma cresce anche la distanza tra prescritto ed erogato, con conseguente incidenza sull’allungamento delle liste d’attesa”.
In questa maniera il tanto sbandierato universalismo della nostra sanità diventa una chimera, proprio perché si scontra con “l’idea irrealistica di dare qualsiasi prestazione a tutti in tempi brevi” e invece “non essendo governato, finisce per generare un effetto opposto a quello voluto”. Dunque i cittadini si trovano costretti ad arrangiarsi da soli e ciò genera sperequazioni e diseguaglianze, con ampie disparità sui “consumi di prestazioni per abitante”, consumi peraltro “non correlati al bisogno epidemiologico”. Cergas bacchetta quindi le istituzioni sanitarie: “Si rileva in particolar modo l’attenzione dell’agenda manageriale e di governo non tanto verso le cause di questa disparità di consumo, bensì sulla produttività delle singole strutture sanitarie”.
Contrariamente a quanto si possa pensare, anche la spesa privata per la salute cresce meno del Pil, e si attesta al 2,2% nel 2024 – circa il 26% degli esborsi sanitari complessivi. Il dato, in sostanziale continuità con gli anni precedenti al Covid-19, è chiaro: l’Italia non è disponibile a tirar fuori i soldi per curarsi né pubblicamente né privatamente, in uno scenario caratterizzato da una situazione demografica critica che implica un’elevata spesa pensionistica e minore popolazione in età da lavoro.
Oltre alla pars destruens, Oasi enuclea anche delle proposte. Si tratta di “quattro prospettive di policy che, introdotte individualmente o in combinazione tra loro, porterebbero a miglioramenti significativi”. Innanzitutto il rapporto chiede di governare le aspettative, rendendo chiari i limiti del Ssn, ridefinendo i criteri di priorità sulle prestazioni e sui target, per esempio i pazienti cronici e con bassa autosufficienza, comunicando chiaramente quali sono i servizi garantiti, in modo da arrivare via via a “una maggiore convergenza tra il prescritto e l’erogato”. Poi bisogna puntare a quella che viene definita “efficienza impopolare”: si tratta di ottimizzare la rete degli ospedali e orientare le strutture più piccole e frammentate verso i servizi territoriali, accorpando ambulatori e laboratori. Il rapporto, in tal senso, fa grande affidamento sulle nascenti Case della comunità per armonizzare le prestazioni territoriali.
Ovviamente non può mancare, tra le raccomandazioni, l’incremento delle risorse per la sanità, anche grazie alla crescita delle “compartecipazioni per alcune prestazioni” oppure mediante “l’introduzione di assicurazioni integrative per il loro rimborso”. Il rapporto chiede pure “la revisione delle allocazioni di spesa pubblica per aumentare il finanziamento alla sanità”. E infine si punta a rivoluzionare la geografia e i formati dei servizi, grazie alla digitalizzazione e alla telemedicina, ma nondimeno ridisegnando i ruoli professionali. Non a caso, si auspica “la collaborazione orizzontale e una maggiore integrazione tra competenze nuove e ordini professionali tradizionali, ad esempio introducendo figure quali il case manager amministrativo del service center per la presa in carico della cronicità”.
Francesco Longo, responsabile scientifico del rapporto Oasi, spiega: “La sanità italiana è ad un punto di svolta: l’Italia è ormai il secondo Paese più anziano al mondo, la spesa sanitaria è rimasta costante nel tempo, mentre le esigenze dei cittadini continuano a evolversi e questi si aspettano un servizio sostenibile ed efficiente. La realtà è però sotto gli occhi di tutti: il Ssn presenta evidenti contraddizioni che peggioreranno in mancanza di una rivoluzione nelle logiche di governo del sistema, indebolendo il tessuto delle aziende sanitarie”. Invece Alberto Ricci, coordinatore dello studio, chiosa: “La consapevolezza delle evidenze dello scenario attuale, seppur critiche e complesse, è il primo strumento che i manager del Ssn hanno per continuare a crescere e ad essere generativi”.
Di Ulisse Spinnato Vega